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L’enoturismo fa proseliti e anche la piccola Armenia diventa meta per wine lovers

Massimiliano Rella

Produzione di vino raddoppiata in dieci anni e aziende passate da 25 a 150 che ora puntano sull’accoglianza. Dal governo sgravi fiscali per attrarre investitori e fioccano i progetti di marketing territoriale

Soltanto sei anni fa, nel 2018, il vino in Armenia era prodotto da 25 cantine. Oggi sono 150, certo in buona parte piccoli produttori da poche migliaia di bottiglie, ma il ritmo di crescita è incessante e segna nuovi record per la piccola repubblica del Caucaso centrale. La produzione, ad esempio, è raddoppiata in dieci anni da 7 milioni di litri del 2014 a oltre 13 milioni con l’ultima vendemmia. Nello stesso periodo c’è stato il raddoppio del turismo: da 1,2 milioni di arrivi nel 2014 a 2,3 milioni nel 2023, con un contributo al Pil del 12,9% (anno 2022, fonte UN Tourism).

I due fenomeni sono in parte correlati e non a caso l’attenzione delle principali organizzazioni internazionali del turismo e del vino è oggi puntata sull’Armenia; che nei giorni scorsi (12-13 settembre) ha ospitato a Yerevan l’ottava Conferenza Internazionale del Turismo del Vino, voluta dalle Nazioni Unite (UN Tourism), con la partecipazione di 300 esperti in arrivo da 25 Paesi. L’economia armena scatta con vitalità (+8,7% del Pil nel 2023) e il governo promuove l’attrazione di investimenti e capitali stranieri attraverso norme e vantaggi fiscali per le imprese dei principali settori chiave: l’Hi-Tech, l’industria, l’energia, l’agricoltura e il turismo.

Questo ambiente favorevole agli investimenti e l’energia che sale dal basso ha convinto UN Tourism, l’agenzia del turismo delle Nazioni Unite, a presentare proprio nella capitale Yerevan un book di linee guida agli investimenti in Armenia, un programma in cui il vino e il turismo sono tra i principali fattori d’attrazione.

«Questi progetti di marketing territoriale nascono nel 2023 per sostenere Paesi emergenti come Zambia, Uzbekistan, Colombia – ci spiega Antonio Lopez de Avila, direttore innovazione e investimenti di UN Tourism - ma è la prima volta che il vino e l’enoturismo sono considerati per l’attrazione di nuovi capitali».

Dopo l’Armenia il secondo Paese in cui si ripeterà l’operazione investimenti è la Georgia, che il 27 settembre ospita la Giornata Mondiale del Turismo. Un Paese dove, tra l’altro, nel 2016 fu lanciata proprio la prima conferenza internazionale sull’enoturismo voluta dalle Nazioni Unite, «un evento di confronto e studio, ogni anno itinerante, e finalizzato a promuovere anche la nascita di nuove strade del vino», spiega Sandra Carvao, chief marketing di UN Tourism.

Entro l’anno, poi, sarà completato il primo metodo di raccolta dei dati enoturistici a livello internazionale, un sistema omogeneo che promette di mettere fine al caos informativo grazie a un monitoraggio standardizzato che verrà reso disponibile, su base volontaria, a tutti i Paesi produttori. Il progetto, cominciato nel 2021, è sviluppato in collaborazione con l’OIV, l’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino.

«Anche se abbiamo ha un ruolo scientifico, il turismo del vino è per noi un tema nuovo e d’interesse – puntualizza Sophie Pallas, direttrice relazioni esterne di OIV -. Lo abbiamo incluso infatti come policy di sostenibilità nelle strategie dei prossimi cinque anni, nel piano che approveremo a ottobre».

La piccola Armenia, grande quanto la Sicilia, guarda con interesse alle nuove opportunità, pur temendo la situazione internazionale; in particolare le tensioni con il vicino Azerbaijan, che a settembre 2023 ha annesso l’ultimo lembo della regione contesa del Nagorno Karabakh, provocando la fuga di 120mila profughi armeni. Tra questi anche produttori di vino costretti ad abbandonare vigne e cantine per mettersi in salvo.

Al netto della pax geopolitica la produzione in Armenia, oggi di 13 milioni di litri, «avrebbe comunque il potenziale per quintuplicare e far crescere l’enoturismo, un settore inesistente fino a 5 anni fa come turismo tematico – sottolinea Zara Muradyan, direttrice esecutiva di Vine & Wine Foundation of Armenia (VWFA), ente governativo nato nel 2016 -. Quest’anno abbiamo finanziato l’equivalente di 1 milione di dollari a sostegno della vitivinicoltura e i fondi sono confermati anche per il 2025. Sono misure di sostegno per i vari ambiti: i sistemi d’irrigazione di soccorso, la formazione, la mappatura delle vigne, la valorizzazione dei vitigni autoctoni e la costruzione di centri di ricerca per frenare l’avanzata della fillossera».

Arrivata pochi anni fa con l’introduzione di varietà internazionali l’insetto fitofago ha intaccato soltanto il 10% del vigneto armeno. Aree pregiate come il Vayots Dzor, con viti pre-fillosseriche allevate fino a 1.800 metri d’altitudine, al momento sono interamente a piedefranco.

Questo territorio a sud ovest vanta anche la più antica cantina al mondo, la Grotta di Areni, risalente a 6.100 anni fa, come attestato da prove al carbonio-14. Scoperta dagli archeologi nel 2007 e visitabile, custodisce antichissime anfore interrate; le più grandi forse utilizzate per la sepoltura dei cadaveri e per i riti funerari.

Tra i nuovi progetti della fondazione VWFA molte iniziative sono finalizzate all’enoturismo, ad esempio la creazione di una rete di Gastroyards, con 20 imprese coinvolte per rinnovare e rendere ospitali vecchie strutture rurali con ricettività e sale degustazione; la formazione di 60 guide enoturistiche e la creazione di una App per prenotare le visite in cantina. Ma anche di un hub logistico e di uno store online dedicato ai vini armeni, al momento con l’offerta di 29 aziende e 93 marchi (www.winesofarmenia.store).

Dei 400 vitigni autoctoni presenti nelle 6 zone vinicole armene molti sono da tavola ma 31 vengono abitualmente vinificati, i più noti il Voskehat, a bacca bianca, e l’Areni, capofila dei rossi. L’Armenia, però, li sta riscoprendo man mano che il settore cresce.

Fino alla caduta del muro di Berlino, infatti, il vitigno principe era il Kangoun, un’uva a bacca bianca impiegata per la produzione di Cognac e Brandy, a cui il Paese era destinato nei programmi economici della ex Unione Sovietica.

La Georgia, invece, era ufficialmente una “terra del vino”. Soltanto dopo la caduta del comunismo la piccola Armenia, incuneata tra Turchia, Georgia, Azerbaijan e Iran, ha visto un progressivo investimento nel settore, una miccia innescata dai ricchi capitali degli armeni della diaspora; successiva al genocidio - 1,5 milioni di morti - perpetrato dai turchi nel 1915-1916. Cantine come Wine Armenia Company (12 milioni di bottiglie, il 60% di vino) o Karas, di Edoardo Eurnekyan, già produttore in Argentina.


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