Mercati
Commodity, nuovo record per i listini globali del caffè spinti dal vuoto d’offerta
L.F.
All’Ice di New York i prezzi dell’arabica sono saliti del 15% da inizio anno in previsione di un riduzione delle scorte 2025 ai minimi dal 1999
Il termometro dei prezzi segna ancora febbre alta per il caffè, con i futures dell’arabica che all’Ice di New York hanno toccato, a fine gennaio, un nuovo record, portandosi nell’interday a ridosso dei 4 dollari per libbra. A soffiare sul fuoco dei rincari sono stati in questi giorni ancora i timori di una carenza d’offerta, giustificati dalle preoccupazioni sulle sorti del prossimo raccolto. Circostanze che hanno reso il caffè uno degli asset con le migliori performance in questo avvio del 2025.
La piazza americana, riferimento globale per le transazioni della commodity coloniale, ha registrato un massimo storico di 3,76 dollari per libbra, mettendo a segno un aumento di oltre 15% da inizio anno. A spingere in alto le quotazioni è stata anche l’urgenza di torrefattori del calibro di Nestlé e Jde Peet’s di acquistare ancora grandi quantitativi di materia prima, in un contesto – informa un rapporto Reuters – in cui la componente speculativa ha mantenuto un orientamento bullish, contribuendo ad alzare la temperatura dei prezzi.
La situazione in Brasile resta estremamente tesa dopo la grave siccità dello scorso anno, che ha in qualche modo influenzato le previsioni per la nuova stagione. Il paese Carioca, con quasi il 50% della produzione globale di caffè arabica, rappresenta uno snodo centrale per l’approvvigionamento di materia prima, relativamente alla varietà più pregiata.
Ma sui mercati l’elemento oggi più critico è il diverso ritmo di marcia tra domanda e offerta, con quest’ultima che fatica a stare al passo delle richieste. Agli squilibri dei fondamentali si aggiungono le tensioni nei rapporti commerciali innescate dai dazi di Trump, che hanno contribuito a scuotere i mercati. Un fattore particolarmente sentito in Colombia, terzo produttore mondiale di caffè, paese su cui grava la minaccia di tariffe doganali per le controversie con gli Usa sull’immigrazione clandestina.
Il quadro di incertezza, che ha propiziato la rincorsa dei prezzi, è suggellato dalle più recenti previsioni meteorologiche. Un fattore, quello climatico, che ha rimesso in discussione i target di resa brasiliani, cambiando il quadro delle aspettative che le piogge degli ultimi mesi avevano invece contribuito a migliorare.
Anche il mercato del caffè robusta, di cui il Vietnam è il maggiore produttore mondiale, è tornato in tensione. I prezzi, risaliti a fine gennaio fino a 5.734 dollari per tonnellata, hanno sfiorato il massimo storico, in un mercato che al traino dell’arabica è apparso fortemente condizionato da fenomeni di ritenzione dell’offerta, giustificati dall’attesa di ulteriori rialzi dei prezzi.
Intanto gli aggiornamenti del ministero dell’Agricoltura di Hanoi confermano una flessione delle esportazioni vietnamite di caffè a 22,5 milioni di sacchi nel 2024, il 17,1% in meno sul 2023, per un corrispettivo economico di 5,62 miliardi di dollari, in crescita del 32,5%, con un implicito aumento dei prezzi Fob di circa il 50 per cento.
Il contesto generale resta fragile, commenta l’Usda, il dipartimento americano dell’Agricoltura. La spinta della domanda mondiale – osservano gli analisti – con pressioni soprattutto da Unione europea, Stati Uniti e Cina, oltre alla riduzione delle scorte, prefigura ulteriori tensioni sul versante dei prezzi, soprattutto se gli sviluppi climatici dovessero pregiudicare la produzione in aree chiave.
Globalmente, gli stock dovrebbero chiudere la stagione 2024-25 a quota 20,8 milioni di sacchi, il secondo livello più basso da 65 anni, dopo quello del 1999.
© RIPRODUZIONE RISERVATA