Politiche Agricole

Il cambiamento climatico? incide solo in parte sulla profonda crisi dell’agricoltura italiana

Stefano Vaccari

Calano produzione e valore aggiunto, investimenti, occupati e imprese. Bene solo le attività connesse. Cresce l’industria che vede a rischio il legame con l’agricoltura

Nelle scorse settimane l’Istat ha pubblicato i dati definitivi della campagna agraria 2023. Su tratta di un report importante perché consente di valutare realmente l’andamento dell’annata agraria, essendo notoria la scarsa utilità delle previsioni trimestrali in agricoltura. Le previsioni dell’annata 2024 sono quantomai incerte, si pensi ai settori vitivinicolo e oleicolo, le cui stime produttive oscillano ancora sensibilmente, e anche per l’ortofrutta il quadro non è facilmente definibile. Poter quindi valutare dati definitivi è dunque un momento di lucidità e riflessione sulla situazione del settore.

I dati indicano che prosegue, purtroppo, la profonda crisi dell’agricoltura italiana.La produzione e il valore aggiunto del settore agricoltura, silvicoltura e pesca si sono ridotti, nel 2023, rispettivamente, dell’1,8% e del 2,5% in termini reali.

L’occupazione registra una flessione del 2,4%, ma a preoccupare è il dato degli imprenditori agricoli, ridottisi del 3,5%.I redditi da lavoro dipendente in agricoltura silvicoltura e pesca sono cresciuti dello 0,7%, accompagnati da un aumento dell’1,1% delle retribuzioni lorde.

Gli investimenti fissi lordi hanno mostrato un decremento sia in valori correnti (-2,6%) che in volume (-1,5%). Tenuto conto che l’inflazione certificata dall’ISTAT nel 2023 è stata del 5,7%, si capisce la drammaticità della perdita di ricchezza reale del settore primario.

I dati del 2023 sono in linea con il trend negativo degli ultimi anni: l’agricoltura italiana soffre di una crisi ormai strutturale sulle cui cause il richiamo al cambiamento climatico è semplicistico. Se esaminiamo le quantità prodotte e il valore delle produzioni agricole italiane nel nuovo millennio, dal 2000 al 2023, osserviamo un andamento negativo molto chiaro, specie nell’ultimo decennio.In 24 anni il valore della produzione agricola è drammaticamente calato ed i costi di produzione sono aumentati più che proporzionalmente: nel quadriennio 2000-2003, in valori costanti 2023, quindi resi neutri dall’inflazione, la produzione lorda vendibile agricola è stata mediamente di 77,2 miliardi di euro contro i 73,8 miliardi di media annua del quadriennio 2020-2023, con un calo del 4%.

Ma nello stesso confronto i consumi intermedi, cioè i costi di produzione, sono passati mediamente da 28,8 miliardi a 35,1 miliardi di euro, con un aumento del 22%. Il valore aggiunto agricolo è crollato nell’ultimo ventennio, passando dai 48,4 miliardi di euro di media del quadriennio 2000-2003 ai 38,7 miliardi del quadriennio 2002-2003, con una riduzione del 20%.

L’inflazione costituisce un nemico subdolo ma micidiale per l’agricoltura italiana: nel biennio 2022-2023 l’indice dei prezzi al consumo è aumentato complessivamente del 14,1% dando l’illusione di redditi in termini correnti più alti, ma nettamente più bassi in termini reali.

Con l’inflazione sono cresciuti nettamente i costi del denaro e dei mezzi di produzione.Nel frattempo, sono crollati i sussidi pubblici al mondo agricolo: nel 2000 l’agricoltura italiana riceveva sussidi per 15,6 miliardi di euro, nel 2022 appena 11,8 miliardi di euro, con una riduzione, rapportata in valori reali, di oltre il 50%.

Anche il credito agrario è sceso ai livelli di oltre dieci anni fa in termini assoluti: nel 2011 i prestiti alle imprese del settore ammontavano, in valori assoluti, a 43,8 miliardi di euro, nel 2023 a poco più di 40 miliardi: in termini reali significa una riduzione degli impieghi bancari di oltre un terzo.

D’altro canto, come evidenziato dall’Istat, anche nel 2023 gli investimenti fissi lordi in agricoltura hanno mostrato un decremento sia in valori correnti (-2,6%) che in volume (-1,5%).La crisi del settore primario è soprattutto produttiva: produciamo sempre meno quantità, mediamente oltre il 10% rispetto a 24 anni fa. In un ventennio abbiamo perso oltre 23 milioni di tonnellate di prodotto agricolo: oltre 5 milioni di tonnellate di produzione tra frumento duro, tenero e mais; quasi un milione di tonnellate di patate e pomodori e abbiamo perso il 20% della produzione di uva da tavola, il 30% di pesche e il 50% di pere.

I comparti che hanno retto meglio il mercato sono quelli a maggior tasso imprenditoriale: pollame – oggi il primo settore zootecnico italiano – suini, uova, latte e vino. Sono settori fortemente energivori ma che hanno sentito meno di altri il peso dei costi di produzione grazie alle dinamiche di mercato: è anche il caso del latte, la cui produzione è passata dai 106 milioni di ettolitri del quadriennio 2000-2003 ai 125,7 milioni di ettolitri del quadriennio 2020-2024.

Una nota positiva viene dalle attività connesse agricole, quelle cioè legate ai servizi: l’Istat ha stimato che nel 2023 tali attività hanno raggiunto il valore record di 15,1 miliardi di euro e oggi valgono circa un quinto dell’intero valore dell’agricoltura italiana: la legge di orientamento del 2001 si conferma tuttora la principale misura di politica agricola a disposizione del reddito agricolo.

Ai dati negativi del settore primario si affiancano i dati positivi dell’industria alimentare, il cui fatturato nel 2023 è cresciuto significativamente raggiungendo i 193 miliardi di euro, segno che il dinamismo imprenditoriale è un elemento chiave per mantenere competitività. I dati produttivi dell’Istat fotografano dunque un settore primario in forte crisi produttiva e finanziaria ed un’industria alimentare più dinamica e proiettata all’export.


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