Politiche Agricole

Inflazione e tagli al bilancio dimezzano il sostegno pubblico all’agricoltura

Stefano Vaccari

Crea: spesa calata da 23,7 miliardi del 2000 a 12,8 mentre salgono i costi. La riduzione del sostegno statale è accompagnata da un preoccupante calo della produttività

Nel triennio 2021-2023 il sostegno pubblico al settore agricolo è stato il più basso a partire dal 2000. Il dato è illustrato nell’Annuario dell’agricoltura italiana del Crea presentato in questi giorni e che da 77 anni costituisce la fonte di informazioni più autorevole e vasta per gli studiosi del settore.

Al netto dell’inflazione, nel triennio 2000-2002 gli agricoltori ricevevano mediamente pagamenti per 23,7 miliardi di euro l’anno, mentre nel triennio 2021-2023 hanno ricevuto solamente 12,8 miliardi di euro. In pratica il sostegno derivante dallo Stato italiano e dall’Ue si è pressoché dimezzato in 24 anni.

Si è inoltre drasticamente ridotta l’incidenza del sostegno pubblico sui conti agricoli: nel 2000 i contributi pubblici al settore costituivano circa un terzo del valore della produzione lorda vendibile e oltre la metà del valore aggiunto agricolo mentre nel 2023 essi coprivano appena il 17,7% della Plv e il 34,4% del valore aggiunto agricolo.

A destare maggiore preoccupazione è la capacità del sostegno pubblico di compensare, almeno parzialmente, i costi di produzione degli agricoltori. Nel triennio 2000-2002 la spesa pubblica copriva quasi il 90% dei costi produttivi, i cosiddetti consumi intermedi, mentre nel triennio 2021-2023 essa ha coperto appena il 42% di tali costi con conseguente sofferenza per le imprese agricole esposte a costi di produzione sempre crescenti. Insomma, oggi lo Stato sostiene gli agricoltori meno della metà di quanto facesse venti anni fa.

A venir meno in questi ultimi anni è stato il sostegno statale e non quello europeo. Nel primo triennio del XXI secolo le risorse italiane coprivano il 57% della spesa pubblica per il settore, mentre nel triennio 2021-23 esse hanno contribuito appena per il 35 per cento. Più costante è stato il sostegno derivante da fondi Ue, che negli ultimi anni ha sopravanzato la spesa nazionale e che nel 2023 ha costituito ben il 61% degli aiuti al settore.

Nell’ultimo ventennio si sono fortemente ridotte le agevolazioni previdenziali e fiscali, queste ultime, peraltro, costituite per la maggior parte dalle riduizoni di accisa del gasolio agricolo, un’agevolazione che costa al contribuente oltre un miliardo di euro l’anno e che difficilmente potrà continuare ad essere sostenuto nell’attuale misura, attesi gli impegni europei ed internazionali sottocritti dai governi italiani negli ultimi dieci anni.

Si sono inoltre ridotti sensibilmente gli incentivi regionali e ministeriali. Nel 2000 le regioni spendevano per il settore agricolo 4 miliardi, nel 2023 appena 1,7 miliardi di euro, così come i ministeri – quello agricolo in testa, nel 2000 erogavano al settore 677 milioni e nel 2022 appena 577 milioni. I dati sul crollo del sostegno pubblico al settore sembrano essere in controtendenza rispetto alle ripetute dichiarazioni governative che negli anni hanno ritualmente enfatizzato stanziamenti miliardari e sostegni imponenti al settore.

I numeri tuttavia riguardano le somme effettivamente pagate agli agricoltori e non quelle “annunciate”. Una radicata abitudine della politica in Italia è quella di sbandierare imponenti stanziamenti che poi vengono erogati con tempi lunghissimi, vanificando l’impatto reale degli stessi: gli esempi sono decine e decine e attraversano trasversalmente governi di tutte le estrazioni politiche: pensiamo ai fondi (300 milioni di euro) per l’emergenza Xylella, approvati dal Parlamento nel marzo 2019 e in parte rilevante ancora non pagati alla fine del 2024; al Fondo ristorazione, con 600 milioni di euro da pagare entro il 2020, ma che in tale anno non vennero erogati e l’anno successivo vennero dimezzati, o agli oltre 800 milioni di euro per i contratti di filiera stanziati dal Pnrr nel 2021 e che ad oggi registrano ancora zero pagamenti.

La riduzione del sostegno pubblico si intreccia con il negativo andamento produttivo dell’agricoltura italiana: in termini quantitativi, nel triennio 2000-2002 i campi italiani producevano circa 301 milioni di tonnellate di prodotto, al netto della zootecnia, del vino e dell’olio. Venti anni dopo, nel triennio 2020-2022, siamo scesi a 273 milioni di tonnellate, circa il 10% in meno. Abbiamo perso molta produzione: oltre 5 milioni di tonnellate tra frumento duro, tenero e mais; oltre 290mila tonnellate di pomodoro e 578mila di patate; il 20% della produzione di uva da tavola, il 30% di pesche e il 50% di pere; produciamo un terzo in meno di legumi rispetto a 20 anni fa e le barbabietole da zucchero sono praticamente sparite, insieme agli zuccherifici.

Le prospettive non sembrano migliorare: la campagna in corso e quella precedente hanno visto ulteriori cali delle quantità prodotte. Il quadro del settore primario italiano è dunque assai preoccupante: poca produzione e sostegno pubblico ridotto. Pensando ai dati positivi dell’industria alimentare e della costante crescita dell’export del made in Italy agroalimentare il rischio è che l’Italia abbracci un modello produttivo sempre più legato alla fase di trasformazione dei prodotti agricoli e sempre meno alla fase della produzione agricola: sarebbe bene ricordare che il nome Italia discende dall’essere “la terra dei vitelli”, non quella delle industrie della carne.


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